Era nativo di Pico, diocesi di Aquino, nel napoletano. Entrò giovanetto nell’ordine dei padri domenicani.
Su proposta del principe Carlo Emanuele II, il papa Clemente IX, nel marzo 1668, lo nominò vescovo di Saluzzo. Con lettera del 21 marzo, egli partecipava al capitolo della cattedrale di Saluzzo la notizia della sua promozione, esprimendo riconoscenza verso il Principe sabaudo.
Mons. Lepori ebbe spiccate doti oratorie. Per parecchi anni aveva esercitato il ministero presso il convento dei padri Domenicani della chiesa della Minerva in Roma, dove il 9 aprile ricevette la consacrazione episcopale.
Uno dei suoi primi atti fu quello di riaffermare maggior disciplina nelle celebrazioni liturgiche nelle singole parrocchie e maggior zelo sacerdotale nel clero. Norme che il suo predecessore, mons. Piscina, non era riuscito a trasmettere. Dalla residenza saltuaria di S. Antonio a Dronero, il 5 luglio 1668, emanò un severissimo decreto in cui dava facoltà ai ministri della giustizia secolare di arrestare e imprigionare gli ecclesiastici che fossero stati sorpresi armati.
Nel popolo era crescente la venerazione e la preghiera al servo di Dio, Giovenale Ancina, per cui mons. Lepori ottenne dal papa tramite la Congregazione dei Riti, di avviare il processo de “non culto” il 31 luglio 1666.
Il suo episcopato fu caratterizzato dall’indizione di tre sinodi diocesani: il primo si svolse nei giorni 12 e 13 aprile 1671 (di questo purtroppo non si hanno gli atti). Il secondo si svolse il 16 e 17 maggio di due anni dopo, con l’emanazione di decreti abbastanza rigorosi che furono dati alle stampe. Mons. Lepori nel suo Sinodo del 1673 diede le più severe prescrizioni:
- Omnem actus redolentem familiaritatem cum Judaeis Christifidelibus aumino prohibemus (vietiamo in modo assoluto ai cristiani ogni gesto che sappia di familiarità con i giudei).
- Abstine bunt ideo ab earum conviviis, surptiis, synegogis choreis, famulatu et cibo (si astengano perciò dai loro banchetti, nozze, sinagoghe, feste, servitori e cibo).
- Christianae mulieres Judearum nutrices non sint, nec Judeas in nutrices adhibeant. Auod si necessitas digna id postulet a nobis fucultatem petant (Le donne cristiane non facciano le nutrici di giudei né usino donne giudee come nutrici. Se una grave necessità lo richiede, ci chiedano la facoltà.
- Judeos medendi cause non acorsant (Non richiedano dei Giudei come medici).
- Ipsi vero Jiudeis proccipinus ut signum esternum feront, quo a Christifidelibus discriminantur (Ordiniamo ai Giudei di portare un contrassegno esteriore, affinché vengano distinti dai Cristiani).
- Ne repubblicae officium out administrationem obtineunt (Non vengano loro affidati offici politici né amministrativi).
Il terzo si tenne il 24, 25 e 26 settembre del 1679 e gli atti, anche qui come per il secondo sinodo, furono pubblicati dal tipografo Vallauri.
Il vescovo avvertiva la necessità di inculcare nel popolo una maggiore formazione catechistica, per cui scrisse un breve trattato composto di domande e risposte ad uso dei parroci per la preparazione al sacramento della Confermazione.
Interessante è notare che la cappella di S. Sebastiano, attigua al vescovado, era andata in disuso; mons. Lepori, per diversi motivi, non da ultimo la necessità del Seminario, credette opportuno di adibire ed affittare il locale ad uso bottega.
Nel 1678 i Gesuiti lasciarono il collegio che avevano in Saluzzo, destando in tutti amarezza e sorpresa per la rapidità della decisione e le lacunose motivazioni addotte. Furono sostituiti dai Padri XXXXX.
Mons. Lepori soffrì molto per l’accentuarsi dell’eresia ugonotta e valdese. Infatti dopo che Luigi XIV revocò l’editto di Nantes, gli ugonotti francesi emigrarono nelle valli del Pellice. Vittorio Amedeo II, per non rompere l’amicizia con il re, intraprese nel 1686 una violenta repressione. Nelle carceri di Saluzzo furono rinchiusi molti eretici, che certamente non furono esenti da vessazioni.
Mentre si trovava a Roma, il Vescovo fu colpito da infermità e morì il 21 gennaio 1686 nel convento dei padri domenicani alla Minerva.