Nacque a Torino nel 1784 dove formò la sua educazione alla scuola di ottimi genitori e valenti insegnanti.
Dotato di facile e penetrante ingegno, compì con somma lode gli studi del tempo, caratterizzati dalla retorica e dalla filosofia.
Con il perspicace ingegno ebbe anche in dono un portamento ieratico, disinvolto, piacevole e di buone maniere.
La sua preparazione al sacerdozio fu caratterizzata dalla cultura umanistica, coadiuvata soprattutto da un approfondito studio teologico.
Ordinato sacerdote, fu apprezzato teologo e preparato canonista. Il vescovo di Acqui, mons. Arrighi, lo scelse come suo segretario. Successivamente, resasi vacante quella diocesi, mons. Gianotti fu chiamato ad esercitare il ministero ad Ivrea con mons. Grimaldi il quale, conoscendo le spiccate qualità del giovane sacerdote, lo volle con sé nel 1810 a Parigi, dove erano invitati al sinodo tutti i vescovi del Piemonte, annesso in quegli anni alla Francia.
A significazione di stima, fu nominato canonico della cattedrale di Ivrea e in seguito parroco di Rivarolo Canavese.
Successivamente venne chiamato a esercitare l’ufficio di canonico penitenziere nella cattedrale di Torino.
Re Carlo Alberto, conoscitore dei meriti acquisiti dal canonico Gianotti, lo propose al papa Gregorio XVI , per la nomina ad arcivescovo di Sassari nel 1833.
Ricevette l’ordinazione episcopale il 26 maggio 1833 dall’arcivescovo di Torino mons. Franzoni, assistito dai conconsacranti: il vescovo di Ivrea mons. Chiaravalle e di Susa mons. Cirie Per il suo zelo e la sua dottrina fu preposto alla Regia Università di Sassari, e ancor più diede prova di generosa dedizione agli ammalati e diseredati durante il colera del 1835.
Per motivi di salute mons. Gianotti, nel 1836, dovette rinunciare alla diocesi di Sassari, dove spese il meglio di se stesso.
Rientrato nella città natale, poté ristabilirsi.
Nuovamente su proposta del Re, il Papa, il 19 giugno 1837 lo nominò vescovo di Saluzzo, dove fece il suo ingresso il 6 agosto 1837. Un vasto campo di apostolato si apriva a mons. Gianotti che tanta esperienza aveva acquisito negli anni precedenti.
La diocesi di Saluzzo lo accolse con esultanza, desiderosa di seguire i suoi indirizzi pastorali.
Il 28 maggio 1840 indisse la prima visita pastorale con un programma ben definito.
Il 9 giugno dello stesso anno, indirizzò ai cittadini saluzzesi un particolare invito a sostenere la scuola cattolica, per la quale invitava: “i Fratelli delle scuole della dottrina cristiana” ad aprire, con il contributo dei cittadini, una scuola d’ispirazione cristiana, così motivandola: “per l’educazione della gioventù povera dall’età di trenta mesi ai quattordici o quindici anni”. Diffuse e promosse la conoscenza delle iniziative civili, come la applicazione del sistema metrico decimale, le scuole serali e domenicali. Nel 1848 sostenne apertamente la costituzione albertina e fu tenace assertore della validità del metodo elettorale, invitando i fedeli ad andare a votare, perché venissero eletti alle cariche pubbliche uomini capaci e onesti.
Il 3 novembre del 1841, inaugurò solennemente l’anno scolastico, aperto sei mesi prima dai: “Fratelli delle Scuole Cristiane”.
Nel frattempo i missionari di San Vincenzo avevano fatto richiesta al vescovo di stabilirsi nel territorio della parrocchia di Scarnafigi. Mons. Gianotti, in data 20 maggio 1843, scriveva ai sacerdoti della missione di San Vincenzo de’ Paoli: “… Non solamente acconsentiamo colla più viva soddisfazione dell’animo nostro che la congregazione dei Sacerdoti della Missione venga a stabilirsi nella parrocchia di Scarnafigi, ma n’affrettiamo coi più fervidi voti il momento avventurato, pronti ad abbracciare i pii e zelanti sacerdoti della medesima quali più cari e abili cooperatori del nostro ministero, nella cultura del clero e nella santificazione dell’anima…”.
L’anno seguente, il 19 marzo, benedisse solennemente la prima pietra della chiesa, che fu terminata nel 1847 insieme alla grande casa dove i sacerdoti vi si stabilirono nello stesso anno. Il vescovo credette opportuno di avvalersi di questo complesso anche per il clero della diocesi e per gli aspiranti al sacerdozio. Pertanto pregò i sacerdoti della Missione di aprire una scuola di teologia morale per i neo-sacerdoti.
Mons. Gianotti concorse nelle spese necessarie con un’offerta di £ 1.800 e i missionari si accollarono l’obbligo di provvedere all’insegnamento, al vitto ed all’alloggio degli studenti, la cui pensione fu fissata in £ 30 mensili.
La scuola ebbe inizio il 4 novembre 1850. Tre anni dopo il vescovo contribuì con la somma di £ 12.626 perché la suddetta casa potesse essere adibita anche come casa di esercizi spirituali per i sacerdoti.
Le vocazioni erano una costante preoccupazione per il Vescovo. Non sempre gli adolescenti che aspiravano ad essere preti potevano avere nelle scuole pubbliche quella formazione che loro conveniva; era perciò urgente fondare per loro un “piccolo seminario”, a cui, tra l’altro, il vescovo pensava da tempo.
Ora avendo in diocesi i missionari di San Vincenzo che volentieri si rendevano disponibili ad ogni iniziativa e anche dei locali adattabili allo scopo, gli parve giunto il momento di concretizzare il suo desiderio.
I missionari furono così pregati di aprire nella casa di Scarnafigi un piccolo seminario promettendo loro il suo appoggio sia morale che finanziario; infatti, con la somma di £ 7.000, offerte dal vescovo, essi allestirono due dormitori, le aule scolastiche e l’arredamento necessario.
Nell’estate del 1854, il piccolo seminario fu pronto.
Dal programma stampato e diffuso apprendiamo che per essere accettati bisognava aver compiuto i sette anni e non oltrepassare i 12. Le scuole iniziavano dalla terza elementare e si protraevano per tutta la quinta ginnasiale. La pensione era fissata in £ 27 mensili. L’anno scolastico iniziava a metà ottobre e terminava a metà luglio. Gli alunni potevano recarsi in famiglia a trascorrere le vacanze estive.
La stima di cui godevano i sacerdoti della missione, la garanzia che dava un seminario, sia per lo studio come per la disciplina, fecero sì che fin dal primo anno furono numerose le iscrizioni.
Infatti, il 20 agosto 1855 il superiore della casa, il reverendo don Cassone, scriveva al vescovo: “… Il totale delle dimande ascende al numero di 124. Ci siamo ingegnati di preparare piazze 20. I diocesani furono accettati, meno due che hanno oltrepassato l’età, rimandati a V. S. per dispensarli, se nella sua saviezza, lo crederà. Vi ritornarono dall’anno scorso su 63, 54, gli altri presero un’altra carriera. 50 sono diocesani, 30 extradiocesani. 35 domandarono di venire a passare le vacanze nel seminario ed entrarono il 1° settembre… “.
L’episcopato di mons. Gianotti ha una rilevanza per il concilio pedemontano che si tenne a Villanovetta nel 1848.
Dopo la morte del re Carlo Alberto, i vescovi subalpini, soffrendo per le difficoltà frapposte alla loro giurisdizione per l’usurpazione dei diritti ecclesiastici da parte del governo sabaudo, deliberarono di riunirsi a congresso.
Per l’assenza del vescovo metropolita, mons. Franzoni, esiliato in alta Savoia, stabilirono di trovarsi con il decano dei vescovi, nella persona del vescovo di Saluzzo, il quale propose di ospitarli a Villanovetta, dove la mensa vescovile possedeva una villa, che per la quiete che vi regnava poteva benissimo acconsentire allo svolgimento dei lavori. I vescovi comunicarono al Re la loro decisione ricevendone, per mezzo del ministro guardasigilli, il consenso con promessa di dare loro assistenza.
Il 25 luglio 1848 convennero quindi a Villanovetta: mons. Antonio Gianotti vescovo di Saluzzo, mons. Michele Fea vescovo d’Alba, mons. Modesto Contratto vescovo d’Acqui, mons. Luigi Moreno vescovo d’Asti, mons. Tomaso Ghilardi vescovo di Mondovì, mons. Clemente Manzini vescovo di Cuneo, mons. Antonio Oddone vescovo di Susa, mons. Lorenzo Renaldi vescovo di Pinerolo, il canonico Pillet vicario generale di Chambery ed il canonico Giacinto Brignone vicario generale di Pinerolo, che fungeva da segretario.
I lavori iniziarono il mattino del 26 luglio.
Nell’ultima sessione del 29 luglio, al mattino venne esaminato l’argomento stampa. I vescovi di Mondovì e Ivrea furono incaricati di studiare il modo più consono per la diffusione della “buona stampa”. Da ultimo, venne prospettata la forma pastorale per coinvolgere i fedeli alla partecipazione liturgica, auspicando la diffusione tra i fedeli di libri che aiutassero ad assistere alla S. Messa, con una versione italiana di alcuni momenti, nonché la divulgazione del canto gregoriano. Tra le ultime deliberazioni, la proibizione di tenere adunanze profane nelle chiese senza licenza del Vescovo, specialmente dove si conservava il SS.mo Sacramento. Per porre rimedio alle rappresentazioni teatrali di dubbio gusto o sacrileghe si fece istanza al governo perché venissero vietate.
I vescovi a conclusione dei lavori sinodali indirizzarono una lettera al papa esprimendo la più viva obbedienza e ossequio. Così pure, inviarono al re Vittorio Emanuele II un messaggio con i rallegramenti per la riconquistata salute, esprimendo il desiderio che l’esiliato mons. Franzoni, arcivescovo di Torino, potesse rientrare libero in diocesi.
L’auspicio che la religione cattolica, riconosciuta nello Statuto, godesse del rispetto, della protezione e della libertà che era necessaria.
Subì da parte del governo un’incriminazione in reazione al suo commento nel pubblicare il 27 gennaio 1850 l’indulto pontificio per la quaresima. Mons. Gianotti invitava i fedeli alla penitenza quaresimale: “… per implorare la divina misericordia, affinché Dio sia misericordioso” Verso l’infelice nostra patria divenuta ormai, per le nostre ingiustizie, l’obbrobrio e l’onta delle nazioni”. L’intendente agli studi di Saluzzo sporse denunzia e incriminò il Vescovo davanti al tribunale, e il vice sindaco recatosi nella sacrestia del duomo con grande villania strappò l’indulto che si trovava esposto nella bacheca. Le frasi del Vescovo fecero grande scalpore tanto da indurre il ministro Siccardi e di conseguenza la stampa a intervenire pesantemente contro Mons. Gianotti.
Da ricordare che nel 1834 durante l’episcopato di Mons. Podestà si ebbero i fatti di Valmala.
Riguardo all’apparizione della Madonna sul Monte di Valmala nei primi giorni di Agosto 1834 mons. Gianotti, in data 20 settembre 1837, scriveva al parroco di Valmala don Rivoira: “… da informazioni avute… riservandomi di esaminare meglio la cosa, portandomi anche all’uopo sul luogo o mandandovi un mio delegato, per ovviare ad ogni disordine che potrebbe accadere, proibisco fin d’ora ogni sorta di processione…”.
Nel considerare poi i ricorsi presentati dal parroco e dal Sindaco di Valmala, in data 9 ottobre 1837 scriveva: “… per la gratitudine di essere stati liberati dal morbo del colera… prima di procedere a ulteriori definitive disposizioni per avere informazioni sull’asserita miracolosa apparizione della B. ma Vergine, abbiamo creduto opportuno di deputare una delegazione per visitare il sito dove si vorrebbe costruire la supplicata cappella…”. In seguito il 16 giugno 1838: “… dalla relazione fattaci… permettiamo alla comunità e particolari del luogo di Valmala, di continuare gli incominciati lavori… riservandomi a suo tempo di dare tutte quelle provvidenze che giudicheremo a proposito, onde evitare ogni inconveniente…”.
Mons. Gianotti, il 7 agosto 1840, fu a Valmala per la visita pastorale e volle incontrare in privato colloquio nella casa parrocchiale le pastorelle veggenti. L’esito dell’incontro, annotato in margine al verbale della visita pastorale, non è dei più lusinghieri.
Il 14 agosto 1844, mons. Gianotti eresse la parrocchia di Cervignasco, la cui chiesa era già stata consacrata da mons. Porporato.
Il 14 dicembre dello stesso anno, emanò un’ordinanza che vietava l’ingresso e l’uso della navata centrale della cattedrale per la straordinaria nevicata che rese pericolante il tetto (centrale) per cui le sacre funzioni vennero celebrate a San Giovanni, mentre a San Nicola si teneva catechismo.
Tra il 1850 – 1854 i fratelli Gauteri, pittori saluzzesi, affrescarono l’interno della cattedrale, che originariamente era tinteggiato di un austero grigio-cenere.
Il 13 giugno 1852, consacrò la chiesa parrocchiale di San Giovanni Battista in Pagliero (S. Damiano Macra).
Durante il suo episcopato una grave forma di colera colpì il territorio saluzzese e il vescovo si prodigò con sollecitudine ad alleviare le non poche difficoltà.
Un benemerito sacerdote nativo di Rossana, don Giovanni Battista Gorla, parroco in diocesi di Torino, maturò il proposito di fondare una casa per la gioventù orfana. Mons. Gianotti accolse e favorì l’iniziativa. In data 10 luglio 1854, con regio decreto, Vittorio Emanuele II ne approvò lo statuto organico. Il vescovo contribuì generosamente a quest’opera benefica ed educativa e con atto testamentario le legò la sua eredità che poi prese il nome di “Istituto Gianotti”.
Con profondo dolore si unì a tutta la diocesi per l’esecrato furto sacrilego che la notte seguente la festa del Corpus Domini dell’anno 1858 fu perpetrato a Scarnafigi. Notte tempo, infatti, in quella chiesa parrocchiale fu scassinato il tabernacolo, rubata la pisside d’argento avendo prima sparso a terra le sacre particole.
Con generosità provvide ad arricchire ed adornare di stuccature, pitture, decorazioni e marmo l’altare e la cappella del SS. Sacramento della Cattedrale.
Il 4 agosto 1863 recatosi a Busca per partecipare all’incontro annuale dei sacerdoti per onorare il santo patrono, Filippo Neri, fu colto da malore.
L’apprensione per la sua salute fu vivissima nel clero e nella gente. Nella alternanza di lievi miglioramenti e nell’offerta al Signore della sua vita, si spense il 29 ottobre 1863, quasi ottuagenario, accompagnato dal rimpianto di tutta la diocesi.
Le sue spoglie mortali trovarono sepoltura nella cattedrale di Saluzzo.